Rincorrere gli Unicorni | Sicuri che sia la strategia giusta?

Troppi fondatori orientano, sin dal primo giorno, le loro attività attorno al Venture Capital. Prima, si cominciava con il creare un modello di business, per chiedere soldi successivamente, mentre oggi si chiedono soldi per ideare un modello di business. Al di fuori della ricerca farmaceutica, o dell’aeronautico, questa è solitamente la decisione sbagliata.

D’altro canto, l’attuale struttura del venture capital è imperfetta e danneggiata. Ripaga la quantità rispetto alla qualità, le uscite rapide rispetto alla crescita sostenibile. Tutti parlano di “disruption” senza sapere per forza cosa sia effettivamente. L’idea di cambiare il mondo con la tecnologia è sexy così com’è quella di ottenere lo status di “Unicorn”. Meno attraente, invece, è l’idea di lavorare in un settore “vecchio” anche se, di norma, sono quelli che creano realmente e costantemente valore.

Cominciamo dal principio: cosa sono davvero gli unicorni?  

Gli unicorni sono aziende private, ovvero non quotate in borsa, il cui valore sul mercato viene stimato ad almeno 1 miliardo di Dollari statunitensi.

Sfatiamo subito alcuni miti:

In primis, un’azienda può essere un unicorno senza aver effettivamente raccolto un miliardo di dollari. Infatti, se raccolgo 100 milioni e do in cambio il 10% della mia azienda, l’azienda è di fatto un unicorno. L’investitore, che accetta questa transazione, valuta conseguentemente la mia azienda 1 miliardo.

Secondo, essendo una stima, il valore dell’azienda può mutare. Ad esempio: gli investitori, durante un secondo round di finanziamento della società, potrebbero determinare un valore maggiore di quello stabilito durante il suo primo round di finanziamento o, al contrario, decretare che l’azienda abbia un valore minore. D’altronde, questa svalutazione è proprio la tendenza che si può constatare negli ultimi 2 – 3 anni.

Infine, lo status di “Unicorn”, è, di fatto, solo uno status. Un potente strumento di marketing che non implica che l’azienda generi effettivamente profitti. Infatti, sono pochissime le aziende, all’interno di questo prestigioso club, che generano utili. Ricerche stimano che, nel 2017, negli Stati Uniti l’80% non facciano profitti. Invece in Europa, nel 2016, 60% degli unicorni sarebbero profittabili.

Prima di proseguire analizziamo alcuni dati: ci sono, al 31 dicembre 2017, 237 aziende con una valutazione pari o superiore al miliardo di dollari. Più del 70% vendono un prodotto o un servizio legato alle nuove tecnologie e, più dettagliatamente, il 50% del totale basa il proprio business model su Internet. Inoltre, di questi 237 unicorni, circa la metà sono US e poco più di un quarto Cinese. In Europa ne possiamo contare solo 24, di cui nessuno in Italia.

Da questi numeri, ci poniamo 4 domande:

  1. Perché solo il “Tech” raggiunge queste valutazioni?
  2. Perché in Europa abbiamo così pochi “successi”?
  3. Qual è il problema degli unicorni e perché ci interessa, pur essendo una specie rara dalle nostre parti?
  4. Cosa può fare un’azienda per attrarre capitale (venture o non) in Europa e fuori dal settore Tech/IT?

Perché solo il “Tech” raggiunge queste valutazioni?

Il termine Unicorn è stato coniato per descrivere proprio le aziende nate nella Silicon Valley che adempivano ai criteri menzionati precedentemente. Però non è una ragione sufficiente a spiegare perché il “tech” e in particolare i servizi basati su Internet hanno cosi tanto successo presso investitori.

Innanzitutto, le valutazioni di molte start-up, specialmente nella Tech si fanno in base al numero di utenti che possono raggiungere, noti come “eyeballs”. Benché, da un paio di anni ci si porti più attenzione ai profitti, questa filosofia del Get Big Fast – crescere in fretta – è sempre la strategia più diffusa.

Internet è il medium ideale per attuare questa strategia. Specialmente nei paesi sviluppati, ha un costo derisorio ed è accessibile da quasi ogni individuo, promettendo un bacino di utenza molto importante. Permette, inoltre, di raggiungere questi utenti direttamente, accorciando drasticamente la catena di valore e prestandosi particolarmente al story-telling e ai beni di consumazione.

Dunque, dal punto di vista di un investitore che sta cercando il nuovo Google o semplicemente un ROI senza paragone, queste aziende dal business model semplice e immediato sono il perfetto cavallo sul quale scommettere. Forse, prima o poi si transforma in un animale mitico. E se succede, ogni eventuale perdita subita precedentemente viene ampiamente compensata.

Perché in Europa abbiamo così pochi “successi”?

Questo fenomeno è, parzialmente, dovuto al fatto che c’è meno denaro disponibile per investire in start-up (negli US possiamo riscontrare un capitale di cinque volte superiore, in fondi di venture capital.Se consideriamo solo il seed funding questo divario raddoppia).

Inoltre, gli investitori europei tendono ad essere più prudenti – alcuni potrebbero dire conservativi – quando si tratta di investire in start-up. Gli piace vedere forti entrate e constatare opportunità di crescita organica. 
Differentemente negli Stati Uniti in particolare, ma anche in minor maniera in Cina, si guardano principalmente le opportunità di acquisire un vasto bacino di utenza rispetto al preoccuparsi troppo dei ricavi nel breve termine.

Qual è il problema degli unicorni e perché ci interessa, pur essendo una specie rara dalle nostre parti?

E qui tocchiamo il cuore del problema:

La crescita di molti unicorni è finanziata esternamente dagli investitori e poche di queste aziende generano realmente profitti. Come abbiamo detto, molte di esse sono state in grado di ottenere una valutazione elevata in base al numero di utenti che potevano attirare, pur non disponendo di un business plan comprovato. Se non si fossero lanciati in una folle e costosa conquista alla crescita, molte di queste aziende, altamente sopravalutate, avrebbero più senso come piccoli/medi business. Quando si punta tutto ad una potenziale valuta di IPO, e la crescita viene sostenuta da investimenti superlativi, c’è poco incentivo a risparmiare denaro e a preoccuparsi realisticamente dei profitti.

In ACTISS, lavoriamo regolarmente con late-stage start-ups industriali, ovvero aziende già con un prodotto sul mercato o almeno un prototipo funzionante, che vengono da noi con l’idea di raccogliere fondi senza avere una reale cognizione della sostenibilità del loro business, ovvero, di come possano generare ricavi. Altre volte ci troviamo di fronte a PMI in necessità di vendere una parte, o la totalità, dei loro assets perché non hanno saputo gestirne correttamente la loro crescita o valutare bene i partner per investire.

Vediamo, soprattutto in Francia, ed è secondo noi più grave, un elevato numero di start up che raccolgono alcuni milioni senza un modello viabile e pochi anni, e qualche round di fundraising, dopo devono chiudere, lasciando i fondatori senza nulla per mancanza di profitti.

Quindi, prendiamo il tempo di finanziare la crescita internamente e impariamo a valutare le sinergie quando abbiamo bisogno di incrementare il capitale per questa crescita. Gli unicorni sono favolosi ma non bisogna creare un attività con questo come obiettivo principale. 

Cosa può fare un’azienda per attrarre capitale (venture o non) in Europa e fuori dal settore Tech/IT?

Concretamente, cosa facciamo in una missione di Venture Development quando siamo di fronte ad un’azienda che ha bisogno di investimenti. E cosa consigliamo di considerare a tutti coloro che vogliono raccogliere fondi prima del loro primo Pitch.

Prima di ogni cosa: qual è l’obiettivo, la visione? Perché avete bisogno di capitale? Questo obiettivo deve essere il più SMART possibile: Specific, Misurabile, Achievable, Realistic, Time-bound.

Secondo, in particolare per le aziende in early-stage ma anche per progetti nascenti in grandi aziende, pensare passo dopo passo. O meglio, porsi la domanda prima di chiedere dei soldi, su cosa sia realmente fattibile e fin dove si possa arrivare con le risorse già disponibili.

Un terzo punto è il business model che deve essere realistico anche lui. Come e dove si crea valore ma anche cosa ha valore nella mia azienda. Vi do l’esempio di una società di cosmetici che abbiamo venduto poco tempo fa. Cercavano di vendere per non dover liquidare totalmente la società. Puntavano alle loro linee cosmetiche naturali. Sfortunatamente sono presenti decine di aziende che vendono un prodotto simile. Gli abbiamo portati a rivalutare cosa portava davvero valore: erano i loro processi e tecniche di estrazione non il prodotto finale. Questa rimessa in questione del loro modello è stato centrale nel trovare un partner strategico interessato a comprare.

Questo ci porta al quarto punto: la scelta dei partner. Consigliamo sempre di privilegiare quando possibile i partner strategici rispetto ai semplici fondi. Le sinergie che portano un reale “fit” strategico hanno molto spesso più valore del semplice incremento di Equity. A tal proposito, bisogna notare che i migliori “fit” non sono evidenti. Al contrario. Vi do un esempio: I fratelli Schaper, matematici, inventarono un modo per rappresentare in maniera perfetta una sfera su un piano bi-dimensionale. Quando venne l’ora di brevettare la loro invenzione, gli vennero detti che non serviva a nulla brevettarla poiché inutile. Però, uno dei consulenti in proprietà intellettuale presente, andai oltre l’intento dei creatori. L’invenzione venne protetta da una serie di brevetti – ad esempio il brevetto US 5,674,149 – e fu usata da Nike per concepire il pallone che verrebbe usato durante i mondiali di calcio 1998.

I due ultimi punti mentre sono importanti per la ricerca di growth capital, vanno in realtà oltre ad esso.

Gestire la crescita di un’azienda è una fase delicata che necessita un sottile mix di competenze tecniche o di ingegneria, di marketing e di management. Scalare il business è anche questione di tempismo ed esistono molti esempi di aziende che sono cresciute troppo veloce e il loro successo è stato nocivo.

Infine, saper scegliere il team giusto. Molto spesso, specialmente per le aziende più piccole, non si investe solo in un prodotto ma soprattutto nelle persone. Non a caso la management presentation è uno step cruciale nel convincere un investitore a finanziarci.

Eric Gaulle

CEO of ACTISS Italia | Head of M&A Division

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